CARTESIO

INTRODUZIONE AL FILOSOFO:

René Descartes, noto in italiano come Cartesio, nacque nel 1596 a La Haye, nella regione francese della Turenna. Proveniente da una famiglia borghese piuttosto ricca, dopo gli studi dai gesuiti si laureò in diritto nel 1616. Nel 1618 si arruolò nell’esercito dei Paesi Bassi e, sotto la guida di un principe protestante andò a combattere in Germania nella Guerra dei Trent'anni.

Negli anni successivi,gli interessi di Cartesio si diressero soprattutto alla matematica, alla geometria, all’ottica e alla logica. Mentre era ancora soldato, il 10 novembre 1619 fece tre sogni, durante i quali, secondo i suoi racconti, ebbe un’intuizione fondamentale per tutta la costruzione del suo pensiero filosofico: nei suoi appunti, infatti, scrisse che aveva scoperto «i fondamenti di una scienza meravigliosa». Probabilmente fu quello il periodo in cui Cartesio cominciò a elaborare i principi di una scienza nuova, che avesse un unico metodo – strutturato come quello della matematica – valido per tutti i campi del sapere.  

Lasciata la carriera militare, nel 1628 Cartesio decise di elaborare una nuova filosofia: per questo motivo, dopo aver a lungo viaggiato in Europa, si trasferì nei Paesi Bassi, dove era diffusa una maggiore tolleranza nei confronti delle dottrine filosofiche e religiose che si opponevano alla tradizione. Nel 1637, pubblicò tre saggi scientifici (La Diottrica, Le Meteore e La Geometria) che erano preceduti da una prefazione intitolata Discorso sul metodo: questa introduzione diventò, probabilmente, la più famosa delle sue opere, anche se la riflessione in essa contenuta fu poi ampliata nelle Meditazioni metafisiche (1641). Negli anni successivi, Cartesio intraprese un fitto scambio di lettere con filosofi e scienziati. Nel 1647 iniziò a scriversi lettere con la regina Cristina di Svezia che, desiderosa di ricevere da lui lezioni di filosofia, lo invitò nel suo paese. Nel settembre 1649 raggiunse Stoccolma, dove morì nel febbraio 1650 in seguito una broncopolmonite.   

Cartesio viene comunemente ritenuto il fondatore del pensiero filosofico moderno, in quanto fu il primo, tra i pensatori moderni, a costruire un vero e proprio sistema filosofico: la sua figura, anzi, racchiude in filosofia il passaggio dal Rinascimento all’età moderna. Ma Cartesio fu anche un grandissimo scienziato in campo matematico: a lui dobbiamo l’invenzione dei cosiddetti assi cartesiani, cioè il metodo delle coordinate che permette di individuare un punto del piano per mezzo di una coppia di numeri (ascissa e ordinata). Questo metodo consente di tradurre i problemi algebrici in problemi geometrici e viceversa: con questa intuizione Cartesio ha fondando una nuova scienza, la geometria analitica.  



IL NUOVO METODO SCIENTIFICO:

Cartesio partì dai suoi studi su ottica, matematica e geometria per elaborare una scienza filosofica completamente nuova e diversa da ciò che, fino ad allora, era insegnato nelle scuole. Questa nuova scienza filosofica doveva abbracciare tanto il mondo fisico quanto la psiche umana. 
Secondo Cartesio, per elaborare questa nuova scienza filosofica era però necessario un metodo, che si ispirasse a quello della matematica: le verità filosofiche, secondo lui, si possono dimostrare seguendo gli stessi passaggi di un teorema matematico, perché entrambi ricorrono allo stesso strumento, cioè alla ragione. Fondandosi sulla ragione, il pensiero cartesiano può essere considerato come la base del razionalismo moderno. 

Il metodo proposto da Cartesio avrebbe consentito di giungere a una conoscenza certa: il mondo, secondo il filosofo, è infatti conoscibile e bisogna solo capire quale metodo sia efficace a questo scopo. I quattro fondamenti, o regole, del metodo furono illustrati nel Discorso sul metodo (1637): 

-evidenza (non considerare vera una cosa a meno che non ti sembri tale con piena evidenza, cioè senza il minimo dubbio),
-analisi (dividi ogni problema complesso in parti più piccole e semplici),
sintesi (organizza i pensieri con ordine, procedendo dagli oggetti più semplici a quelli più complessi),
-enumerazione (fai la rassegna dei passaggi dimostrativi per controllare di non aver dimenticato o sbagliato nulla).

Il percorso che conduce alla conoscenza inizia col dubbio, cioè col rifiuto di tutte le conoscenze che sono tramandate per abitudine e tradizione: è necessario, dunque, dubitare su tutto e considerare provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Solo se, proseguendo su questo atteggiamento di critica radicale, si raggiunge un principio che resiste a ogni dubbio, esso potrà costituire la base per tutte le altre conoscenze e, quindi, la giustificazione del metodo: per questo si parla di dubbio metodico. Tuttavia, tutte le conoscenze devono essere sottoposte a dubbio: non solo le conoscenze sensibili (perché i sensi ci possono ingannare e perché nel sonno si hanno impressioni simili a quelle della veglia), ma anche le conoscenze matematiche, perché esse potrebbero essere state create da un genio maligno che si pone l’obiettivo di ingannarci. Il dubbio così si estende ogni cosa e diventa universale, trasformandosi in un dubbio iperbolico. 

Il “Cogito, ergo sum”Tuttavia, nel momento in cui stiamo dubitando stiamo, certamente, anche pensando: se dubito, esisto in quanto entità spirituale che pensa e, quindi, sono un essere pensante. Da questa affermazione, Cartesio fa derivare una delle sue frasi più famose: Cogito, ergo sum, cioè «penso (dubito), e quindi sono (esisto)». Secondo questa massima, so di esistere solo dopo aver pensato; o, in altre parole, penso e quindi so di esistere come io pensante. 

Dal Cogito Cartesio fa emergere il suo primo – e fondamentale – criterio di verità: se io posso dire che «penso dunque sono» in quanto vedo «con massima chiarezza» che per pensare bisogna essere, posso trarre da questa riflessione una regola generale, secondo la quale «le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono tutte vere». 





L'ESISTENZA DI DIO E LA REALTA' ESTERNA

Secondo Cartesio, dunque, le cose che percepiamo molto distintamente e molto chiaramente sono vere: oltra al fatto di essere un io pensante, però, c’è un’altra idea che avvertiamo chiaramente, l’idea di Dio come essere eterno, infinito, perfetto, onnipotente e creatore. Questa idea non può essere stata prodotta dall’essere umano, che è limitato e imperfetto: per questo motivo, l’idea chiara e distinta di infinito è innata nell’uomo e deve avere la sua origine in un essere infinito e perfetto (Dio appunto), che l’ha messa in noi. Del resto, secondo il filosofo, è presente nel concetto di “essere perfetto” il fatto che tale essere esista: se non esistesse, non sarebbe perfetto. In questo senso, Cartesio si rifà, dunque, alla tradizione che fonda la certezza dell’esistenza di Dio sulla cosiddetta “prova ontologica”. 
Cartesio è dunque sicuro dell’esistenza di Dio, come è sicuro dell’esistenza di un io pensante: ma poiché Dio è perfetto, è anche buono, e quindi non può ingannare l’uomo, né può esistere un genio maligno. Questa riflessione porta il filosofo ad affermare che il criterio delle idee chiare e distinte e l’esistenza di un mondo esterno conoscibile dall’uomo si sostengono su una garanzia offerta da Dio. Se la nostra ragione identifica qualcosa in modo chiaro e distinto, questo qualcosa esiste perché Dio, nella sua perfezione, ci ha dato un’infallibile capacità di distinguere il vero dal falso. In altre parole, tutto ciò che ci appare chiaro ed evidente deve essere vero, perché Dio lo garantisce come tale. 

La realtà esterna, però, è diversa dalla realtà del pensiero. Secondo Cartesio, infatti, esistono due forme diverse di realtà, o due “sostanze”: la res extensa, cioè la sostanza estesa nello spazio (la materia), e la res cogitans, cioè la sostanza che pensa (la mente, l’anima). Mentre l’anima può solo pensare, e quindi non occupa alcuno spazio fisico ed è indivisibile, la materia occupa spazio e può essere divisa in parti più piccole, ma non ha alcuna coscienza. Entrambe queste sostanze derivano da Dio,  ma sono indipendenti tra loro.









IL DUALISMO CARTESIANO: ANIMA E CORPO

Anche l’uomo può essere descritto come una macchina: le funzioni vitali e il sistema nervoso, infatti, possono essere descritti in termini meccanicistici. In questo senso, la morte non è altro che la dissoluzione della macchina umana.

Secondo Cartesio – come per Platone - esiste, nell’essere umano, un dualismo tra il corpo umano – che è una macchina – e la res cogitans (cioè l’anima): corpo e anima si uniscono, però, attraverso la ghiandola pineale, posta al centro del cervello. Questa ghiandola consentiva un continuo processo di azione e reazione tra “anima”, che è superiore, e “corpo”. Solo gli esseri umani, però, secondo il filosofo francese hanno un’anima: gli animali, invece, sono solo sostanza estesa. 





Nel Discorso sul metodo, Cartesio espresse anche i principi di quella che definì un’«etica provvisoria», che avrebbe dovuto precedere quella definitiva. Egli propose, quindi, tre massime, che si rifacevano ai principi dello stoicismo: 

bisogna obbedire alle leggi e ai costumi (anche religiosi) del paese in cui ci si trova;
bisogna essere determinati nelle proprie azioni, una volta che si è scelta la risoluzione più probabile;
bisogna cercare di vincere sé stessi più che la fortuna o il mondo.

Nella sua ultima opera, Le passioni dell’anima (1649), Cartesio mise al centro della sua riflessioni le passioni, analizzandole come se fossero un fatto medico. Secondo lui, le passioni sono «percezioni, sentimenti o emozioni dell’anima che sono causate, mantenute, rafforzate da qualche movimento degli spiriti»: anche se turbano l’anima, quindi, non fanno parte dell’anima. Per natura, le passioni sono tutte buone, ma si deve evitare il loro eccesso o un loro cattivo uso: le passioni vanno addomesticate, attraverso la saggezza. L’uso della saggezza – cioè l’estensione della ragione – consente all’uomo di essere padrone della sua volontà: Cartesio era, quindi, un sostenitore del libero arbitrio. 















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