GIORDANO BRUNO


 Giordano Bruno, battezzato con il nome di Filippo, in onore di Filippo II, erede al trono di Spagna, nasce a Nola, nel 1548. Dopo aver compiuto i suoi studi di dialettica, logica e mnemotecnica a Napoli, a diciotto anni entra come novizio nel convento di San Domenico Maggiore, dove prende il nome di Giordano.
Suddiacono nel 1570, diacono nel 1571, sacerdote e dottore in teologia negli anni che seguono, durante la carriera ecclesiastica ha occasione di approfondire il pensiero di Agostino di Ippona e di Tommaso d’Aquino, venendo anche a contatto con gli scritti di Erasmo da Rotterdam. Ad un primo processo, avvenuto tra il 1566 e il 1567, dovuto ad accuse per il disprezzo delle immagini dei santi, ne segue un altro dieci anni dopo, che lo costringe a ritirarsi prima a Roma, dove, per un breve periodo, viene accolto nel convento di Santa Maria sopra Minerva (lo stesso in cui Galilei, nel 1633, avrebbe abiurato la teoria copernicana), e poi in Liguria, a Noli. Si trasferisce quindi a Ginevra, dove entra in contatto con l’ambiente protestante, finendo per abbracciare la fede calvinista. Si dimostra però ben presto molto critico nei confronti della nuova religione, al punto da venir arrestato e costretto distruggere un opuscolo di critica nei confronti di Antoine De la Faye, titolare della cattedra di filosofia, nonché figura di spicco del calvinismo. Poco dopo aver riconosciuto la propria colpa innanzi al Concistoro, viene nuovamente inquisito per lereiterate offesemosse nei confronti dei ministri della Chiesa calvinista. Scomunicato, lascia Ginevra e si reca a Tolosa; nel 1582 si stabilisce a Parigi dove pubblica il De umbris idearum, in cui esalta il concetto di ombra, il Cantus Circaeus, dedicato ad Enrico d’Angouleme (1551-1586), e il Candelaio, testo nel quale accosta temi filosofici e di stampo alchimista a squarci della vita quotidiana di ladri o prostitute.
Trasferitosi in Inghilterra nel 1583, tiene diverse lezioni sull’immortalità dell’anima, negando le tesi aristoteliche, atteggiamento che gli provoca l’ostilità da parte dell’ambiente universitario. A Londra tuttavia pubblica La Cena delle Ceneri, il Sigillus Sigillorum, il De la causa, principio et uno, il De infinito, Universo et mondi, e lo Spaccio de la bestia trionfante. Tornato nel 1585 a Parigi, Bruno fu costretto a ripartire a causa dell’astio degli aristotelici. Si trasferisce allora a Magonza, poi a Marburgo, nel Wittenberg, a Praga, presso Helmstedt, e a Francoforte, dove ultima i poemi latini (De triplici minimo et mensura, il De monade, numero et figura e il De immenso et innumerabilis, seu de universo et mundis).
Zurigo, poi, conosce Giovani Mocenigo, un nobile veneziano desideroso di apprendere l’arte della memoria, da cui Bruno viene ospitato nel 1592, dopo essere passato per Padova. L’arrivo a Veneziarappresenta per il Nolano il tragico epilogo della sua vita: dopo aver trascorso alcuni mesi presso il patrizio veneziano, quest’ultimo decide di denunciarlo, con accusa di eresia. L’anno seguente, il processo viene trasferito a Roma, dove Bruno resta rinchiuso per sette anni, rifiutando gli inviti a ritrattare le sue dottrine. Il 17 febbraio 1600 viene arso vivo a Campo de’ Fiori, senza essersi riconciliato con il Crocifisso, dal quale, negli ultimi istanti, distoglie lo sguardo.
 




L’infinito e l’universo
 
Al centro della riflessione bruniana vi è la nozione di infinito, analizzato sia sul piano cosmologico che su quello ontologico; ma tuttavia viene sviluppata anche un’analisi antropologica e gnoseologica. A livello cosmologico, Bruno critica il geocentrismo e nega le teorie aristoteliche di un cosmo composto da sfere cristalline concentriche.
Tuttavia il Nolano non accetta completamente nemmeno la teoria eliocentrica copernicana: l’universo infatti, secondo Bruno, è infinito, disordinato – e dunque non kosmos, regolato da leggi, bensì physis – e costituito da infiniti mondi e infiniti sistemi solari, simili a quello in cui noi viviamo. Di qui ne deriva che il nostro pianeta è solo uno tra gli infiniti presenti, e che non è al centro dell’universo, il quale, essendo anch’esso infinito, non ha né centro, né periferia. Viene così delineandosi una radicale relativizzazione della Terra che scardina l’antropocentrismo umanistico-rinascimentale, ammettendo la possibilità che esistano enti superiori per intelligenza all’uomo.

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